C’è un dato che, più di altri, racconta l’urgenza: 784 vite spezzate tra gennaio e settembre 2025. Dietro ogni numero c’è un cantiere, un magazzino, un reparto produttivo; c’è una famiglia che aspetta il rientro a casa e non lo vedrà. È una mappa del rischio che attraversa l’Italia e che, nonostante leggi, campagne e protocolli, non accenna a ridursi.
Un bilancio che pesa
Nei primi nove mesi dell’anno si contano 575 decessi “in occasione di lavoro” e 209 “in itinere” (nel tragitto casa–lavoro). Il venerdì è il giorno statisticamente più funesto, seguito dal lunedì e dal giovedì: indizi di una stanchezza accumulata e di picchi organizzativi che meritano di essere ripensati. Le Costruzioni restano il settore più colpito (99 morti), seguite da Manifatturiero, Trasporti e Magazzinaggio, Commercio: ambiti ad alta intensità di rischio fisico, tempi stretti, turni, catene di subappalto.
La geografia del rischio
La “zonizzazione” dell’incidenza (decessi in occasione di lavoro per milione di occupati) disegna un’Italia a macchie. In zona rossa—con rischio oltre il 125% della media—figurano Basilicata, Umbria, Campania, Puglia e Sicilia. In arancione—tra media e +25%—Liguria, Calabria, Abruzzo, Trentino–Alto Adige, Veneto, Piemonte, Sardegna. Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Molise sono in giallo, mentre Valle d’Aosta, Lombardia, Lazio, Friuli-Venezia Giulia scendono in bianco.
Non è una classifica della virtù, ma il riflesso di mix produttivi diversi, presenza di cantieri diffusi, infrastrutture logistiche, mobilità e qualità della prevenzione sul territorio.
Chi paga il prezzo più alto
L’età pesa: l’incidenza più elevata riguarda gli over 65, poi i 55–64, ma in valore assoluto è proprio la fascia 55–64 a registrare più vittime (200 su 575). Sono lavoratori esperti, spesso custodi di saperi pratici, che finiscono per esporsi a mansioni gravose, turni prolungati, luoghi dove un errore minimo può diventare fatale.
Le donne decedute sono 68 (33 in occasione, 35 in itinere), in aumento rispetto all’anno precedente: segnale che la partecipazione femminile—anche in comparti operativi—cresce, ma non sempre è accompagnata da misure mirate.
I lavoratori stranieri pagano un doppio rischio: 171 morti complessive (125 in occasione, 46 in itinere) e un’incidenza più che doppia rispetto agli italiani. Dietro, non solo mansioni più esposte, ma anche barriere linguistiche, formazione non sempre efficace e talvolta condizioni contrattuali fragili.
Organizzazione, cultura, filiere: dove si inceppa il sistema
Gli incidenti non sono “eventi” in senso stretto; sono spesso la punta di un iceberg fatto di micro-criticità: DPI usati male o tardi, procedure non aggiornate, tempi compressi, interferenze tra appalti e subappalti, manutenzioni rimandate, near-miss (mancati infortuni) non registrati.
La sicurezza—quando funziona—è parte del lavoro, non un adempimento accessorio: si progetta a monte, si misura in corso d’opera, si corregge in tempo reale. Dove la sicurezza coincide con qualità e produttività, gli indici migliorano.
Denunce in lieve risalita: un segnale da leggere
Le denunce di infortunio tornano a crescere di un +0,7% (435.883 vs 433.002). Il picco resta nelle Attività Manifatturiere, poi Costruzioni, Sanità, Commercio, Trasporti. La crescita non è di per sé una cattiva notizia: può indicare maggiore emersione e fiducia nel sistema. Ma impone di rafforzare vigilanza, analisi dei dati e prevenzione mirata.
Che cosa serve davvero (oltre gli slogan)
- Formazione “di mestiere”: meno aula generica, più addestramento sul compito reale, nella lingua che tutti comprendono, con prove pratiche e verifica.
- Responsabilità di filiera: appalti e subappalti vanno legati a requisiti di sicurezza verificabili, con rating e penali.
- Dati che guidano: interoperabilità tra banche dati, tracciamento di near-miss e incidenti per orientare ispezioni e piani correttivi.
- Prevenzione per fasce fragili: programmi specifici per 55+ e stranieri (tutoraggio, ergonomia, rotazioni, DPI ad hoc).
- Governo dei tempi: turni, consegne, picchi stagionali vanno riprogettati per ridurre l’errore umano e la stanchezza.
Dalla contabilità del dolore alla progettazione del lavoro
Dire “incidenti” è riduttivo. La sicurezza non è un costo, è competenza organizzativa: ciò che permette a un’impresa di durare, innovare, trattenere talento. Per questo l’appello a una cultura condivisa—dalle direzioni aziendali ai cantieri, dai sindacati agli enti di controllo—non è retorica: è strategia industriale.
Finché i numeri resteranno questi, l’Italia avrà un debito aperto con chi ogni mattina timbra un badge, indossa un casco, accende un macchinario. Ridurre quel debito significa ripensare il lavoro: progettare processi e luoghi dove tornare a casa sia una certezza e non una scommessa.