A volte l’economia migliore è quella che si tocca con mano: un tavolo, quattro macchine da cucire, stoffe colorate, un martedì pomeriggio alla settimana e la voglia di imparare. “Sarti di Sogni” è esattamente questo: un progetto semplice che, grazie a una piccola campagna di crowdfunding, è diventato opportunità concreta per ragazze e ragazzi con Sindrome di Down.
In 61 hanno donato, mettendo insieme 2.000 euro: la cifra giusta per acquistare 4 macchine da cucire e i materiali di avvio. Pochi soldi, verrebbe da dire. Eppure sufficienti a far partire un laboratorio che non è solo scuola di cucito, ma anche palestra di autonomia, lavoro in squadra, micro–impresa artigiana. Ogni martedì, nello spazio concesso dal Centro Commerciale I Portali, il laboratorio si accende: si taglia, si imbastisce, si prova, si sbaglia e si ricomincia. L’obiettivo è chiaro: imparare un mestiere, creare prodotti, proporli al pubblico.
“Ogni donazione è stata un punto diritto su un tessuto fatto di sogni”, racconta Stefania Massimino, presidente di AFPD Catania. Si parte con un prodotto semplice e riconoscibile – borse in tessuto pensate anche per i regali di Natale – perché l’economia inclusiva funziona quando riduce le complessità: un prodotto minimo, un prezzo giusto, qualità curata e storie vere da raccontare a chi compra.
C’è poi un altro dettaglio, non secondario, che spiega perché questa iniziativa interessi un sito di economia: il valore moltiplicatore del capitale civico. “Il crowdfunding è come un grande telaio: se ciascuno porta un filo, nasce un intreccio che prende forma”, dice Assia La Rosa, founder di laboriusa.it. Al di là della cifra, ciò che resta è la rete: donatori, volontari, tutor, un centro commerciale che apre le porte, famiglie che si mettono in gioco. È così che 2.000 euro diventano capitale produttivo (attrezzature), capitale umano (competenze) e capitale sociale (relazioni attive).
Anche il luogo conta. “È un piacere ospitare l’associazione nei nostri spazi”, aggiunge Francesco D’Angelo, direttore de I Portali. “Il nostro obiettivo è semplice: rendere felici questi ragazzi. Se vedremo occhi che si illuminano per una cucitura riuscita, sapremo di aver fatto la cosa giusta”. Non è solo ospitalità: è policy aziendale a misura di territorio, dove la GDO diventa piattaforma per l’impatto sociale. In termini di marketing, si chiama licenza sociale ad operare; in termini umani, è una stretta di mano che vale fiducia.
L’impianto economico del progetto è leggero e sensato: costi fissi minimi, spazi messi a disposizione, materiali acquistati anche grazie alle prime vendite, serie limitate per testare il mercato. Ogni borsa venduta è una piccola lezione di ciclo completo: ideazione, produzione, controllo qualità, esposizione, relazione con il cliente. E ogni incasso rientra nel cerchio: reinvestito in stoffe, accessori, magari una quinta macchina.
“Sarti di Sogni” ha anche un lessico che colpisce: rammendare, misurare, scegliere i colori, allungare un orlo. Sono gesti antichi che, qui, diventano metafora di crescita. Si impara la pazienza, l’ascolto, la precisione; si scopre che nessun orlo è definitivo, perché si può sempre allungare per far crescere i sogni. Ed è proprio questa la differenza tra beneficenza e impresa sociale: nella beneficenza il filo finisce; nell’impresa sociale il filo continua, perché il valore torna in ciclo.
La campagna si è chiusa, ma il progetto resta aperto. C’è bisogno di tutor, volontari, donazioni di materiali, prime commesse (anche aziendali, per regali solidali o gadget sostenibili). Ogni nuovo filo che arriva si intreccia al telaio e lo rende più resistente. E ogni martedì, a Catania, quel telaio ricomincia a suonare: tac, tac, tac. È il rumore discreto di un’economia piccola, vera, generativa—capace di trasformare un laboratorio in autonomia e una cucitura riuscita in felicità condivisa.